Progetto New Folder: dalla psicologia alla musica


Il 24 aprile 2010 una nuova band fece capolino nel già affollato panorama musicale della Sardegna: si trattava dei New Folder, una “big band” composta da sei musicisti e da un repertorio di genere misto ed estremamente variegato, creata per funzionare come un gruppo di lavoro a progetto (come in ambiente di lavoro).

Un ulteriore elemento che contraddistinse i New Folder fu la realizzazione dell’intero progetto – dalla nascita al management dopo il successo – tramite l’applicazione delle tecniche di psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Il nome era un nome di simpatia, pensato come simbolo di una cartella del PC che potesse contenere tutta la propria musica preferita.

Personalmente, posso andare molto fiero di quanto realizzato con tanta fatica e impegno, sia per la qualità del gruppo creato, sia per il successo del progetto in sé: non credo che sarei riuscito a raggiungere certi risultati senza la laurea in psicologia e così decisi di illustrare il progetto e i relativi sviluppi secondo i criteri dell’osservazione partecipata.

A prescindere dalla “freddezza” del linguaggio tecnico, fu un autentico piacere vivere questa esperienza con le persone del mio gruppo e sono felice di ogni minuto passato in loro compagnia.


1 – La scelta dei componenti del gruppo

La creazione di un gruppo affiatato e compatto fu forse la cosa più difficile da realizzare: da quanto avevo potuto vedere nelle precedenti esperienze, solo le band musicali formate da professionisti sotto contratto o quelle composte da amici di vecchia data avevano gli strumenti per far fronte agli innumerevoli imprevisti che questo tipo di attività comporta.

Tutte le altre erano soggette a un terribile logoramento della motivazione a proseguire nel progetto, causato dal turnover dei componenti del gruppo: logoramento proporzionale alla frequenza con cui avviene il rimpiazzo dei musicisti.

Avere un gruppo di persone affiatate è essenziale, e diventa ancora più importante che avere dei bravi musicisti che però non si integrano bene fra loro. Ciò è essenziale soprattutto quando il tipo di motivazione prevalente nel gruppo è di tipo intrinseco e non estrinseco e quando il gruppo è prevalentemente orientato al compito e non al risultato.

Ma andiamo con ordine. La motivazione intrinseca è quella che viene “da dentro” (come la piacevolezza del suonare), mentre quella estrinseca è dovuta a fattori esterni all’attività stessa, come vedremo in seguito.

Il turnover, invece, si può definire come l’alternanza dei membri costituenti un gruppo, dove l’abbandono di uno di tali membri genera un vuoto che va colmato. L’alternativa è un riadattamento, nella musica raramente possibile perché il gruppo necessita di un musicista per ogni strumento impiegato.

L’abbandono genera un trauma pratico e psicologico:

E, comunque, il nuovo musicista è sempre un portatore di novità.

Ogni persona, infatti, ha il suo approccio soggettivo verso il gruppo, i suoi valori personali e lavorativi, la sua cultura organizzativa e i suoi gusti, che possono anche costringere a ridefinire il repertorio in precedenza sviluppato con gran fatica.

Di conseguenza, l’abbandono di un musicista crea un vero trauma al gruppo musicale, la cui intensità aumenta in modo esponenziale in relazione al periodo di tempo nel quale il gruppo è rimasto compatto e ha sviluppato il suo repertorio e, come accennato prima, in relazione al numero di volte in cui viene ripetuto il processo di sostituzione:

aspettare che il nuovo arrivato si inserisca nel gruppo significa costringere gli altri a stare fermi e a ripetere i brani già pronti decine di volte, con il rischio di annoiarsi e un conseguente crollo della motivazione.

Se il processo si ripete, è possibile (come mi successe svariate volte) che, mentre il nuovo acquisto si inserisce, uno dei vecchi membri del gruppo perda la sua motivazione intrinseca e abbandoni il gruppo, costringendo quindi a cercare un nuovo sostituto e aumentando esponenzialmente il rischio di abbandono da parte di un altro componente originario della formazione iniziale.

Come ho detto, i gruppi di amici (a prescindere dal loro livello tecnico) compensano lo stress delle prove perse o del temporaneo allontanamento di un componente del gruppo proprio perché essi formano innanzitutto un gruppo sociale e non solo musicale (motivazione intrinseca), mentre i professionisti sono spesso vincolati da contratto (motivazione estrinseca) e suonano per guadagnare, non (solo) come fonte di soddisfazione personale.

Inoltre, i gruppi composti da professionisti sono molto orientati al risultato (fare serate e guadagnare il più possibile), mentre quelli composti da amatori, dilettanti o semi-professionisti sono più orientati al metodo (stare bene in sala e sviluppare un percorso soggettivamente “a misura d’uomo”), dove il risultato è la diretta conseguenza del metodo adottato.

Alla fine, la scelta ricadde su sette componenti iniziali disponibili, reclutati tramite precedenti esperienze nelle quali già ci si era conosciuti musicalmente, oppure tramite il passaparola e l’opinione di persone di fiducia e che, comunque, non erano reduci da esperienze comuni o da recenti periodi di turnover.

Se è vero che fu una scelta basata sulla “razionalità limitata” (incertezze sempre presenti e risorse limitate), è anche vero che i problemi insorti si limitarono al solo cantante maschio e al ruolo del bassista, come spiegherò più avanti, mentre gli altri componenti si rivelarono un’ottima squadra.


2 – Dalla costituzione del gruppo sociale al gruppo di lavoro

Il secondo passo fu quello di creare delle occasioni per trasformare sette persone che si conoscevano a malapena in un gruppo vero.

Alcune coincisero con tappe fondamentali per iniziare ad avviare il progetto: dapprima piccole uscite in gruppo, poco impegnative, quindi una serie di riunioni metodiche per definire gli obiettivi, i tempi e il repertorio in base alle necessità di ogni singolo componente del gruppo, spesso anche lavoratore o studente universitario.

Questo consentì alle persone di prendere gradualmente confidenza l’una con l’altra, di instaurare legami e di non sentirsi sotto pressione una volta in sala prove, suonando brani nuovi e ancora da assimilare davanti a quelli che sarebbero stati altrimenti degli sconosciuti.

Inoltre, altri momenti di coesione nacquero spontaneamente con le uscite tutti assieme (per assistere alle serate musicali degli stessi elementi del gruppo ma con altre band musicali), con momenti di relax accompagnati dalla condivisione di dolci o altro cibo prima o dopo le prove, o ancora in seguito a momenti di criticità superati con successo.

A posteriori, posso confermare che il gruppo seguì le fasi tipiche della vita del gruppo sociale: dal forming all’adjourning. Un approfondimento sul “gruppo sociale” è disponibile anche su Wikipedia.


2-A – La creazione della scaletta

Nel processo di creazione del gruppo, la scelta dei brani fu molto importante: molti gruppi naufragano a causa della mancanza di pianificazione, iniziando velocemente con una manciata di brani per partire e poi perdendo velocità a causa di una scaletta mal definita o assente.

Capita spesso, infatti, di poter discutere tutti assieme fisicamente solo prima o dopo le prove, col rischio di essere stanchi o di dover interrompere precocemente le discussioni per i vincoli di orario dettati dalle prove in sale a pagamento: in questo modo, i fraintendimenti sui brani da preparare sono molto frequenti e vi è il rischio concreto che quelli scelti in realtà non siano approvati dalla maggioranza dei componenti del gruppo, generando così un’insoddisfazione che non viene espressa per un eccesso di acquiescenza (accondiscendenza) nei confronti del leader o del gruppo.

Tuttavia, questa insoddisfazione inespressa può minare fortemente la motivazione delle persone quando i brani vengono “imposti” in questo modo e/o può ridurre la qualità della performance quando i brani vengono preparati controvoglia da uno o più musicisti dotati di una scarsa motivazione intrinseca ed estrinseca.

Con i New Folder, invece, dedicammo ben due riunioni alla sola definizione del repertorio, riducendo i brani proposti prima da circa 150 a 70 e poi a un’abbondante trentina, riserve incluse.

Ogni componente fu interpellato su ogni singolo brano e, quando emerse un qualsiasi motivo di malcontento, il brano esaminato venne eliminato: non si può fare tutto in un singolo gruppo.

Il gruppo stabilì quindi una scaletta provvisoria e flessibile, con le seguenti regole:

  1. Se un brano disgusta intensamente un qualsiasi elemento del gruppo, non lo si fa (per esempio, al nostro bassista non piacciono gli U2 e non si fanno cover degli U2).
  2. I brani già preparati bene non si eliminano se non per gravi motivi. Ad esempio, se ci si accorge che un brano già preparato non rende a causa di variabili imprevedibili, lo si elimina. (A noi capitò con Layla di Eric Clapton).
  3. La maggioranza decide: se ad almeno metà del gruppo piace un brano, lo si fa. Se un brano non rientra nelle possibilità della cantante, non lo si fa anche se al gruppo piace.
  4. Non si propongono brani al di fuori delle possibilità tecniche del gruppo o quelli con un rapporto qualità/tempo svantaggioso per le esibizioni in pubblico.

Questa strategia partecipativa contribuì a cementificare i rapporti all’interno del gruppo, a premiare la sincerità, a migliorare le comunicazioni interne e a esaltare la percezione di appartenenza al gruppo (il “commitment”), visto come una cosa propria da ogni musicista.

Inoltre, nonostante vi siano stati casi di brani preparati e poi abbandonati, questi rappresentarono solo una minima parte del repertorio, con uno “spreco” di tempo e di energie molto ridotto.


2-B – Motivazione e soddisfazione

In aggiunta a quanto già detto, va specificato che la motivazione (ovvero la spinta interiore che attiva uno specifico comportamento) e la soddisfazione (quel sentimento di piacevolezza derivante dall’attività svolta) in campo musicale trovarono una declinazione molto soggettiva in questo progetto.

È difficile definire dei parametri a livello di gruppo, tuttavia in generale la soddisfazione risultava alta quando erano presenti i seguenti elementi:


3 – Lo stile di leadership

La leadership, in questi casi, è una funzione necessaria per il raggiungimento dei risultati e un ruolo che dovetti accettare per lo start-up (avvio) del progetto.

Leadership non è necessariamente sinonimo di “comando” o di “potere”, ma rimando la distinzione ad altre sedi.

Nel caso specifico, ritenni doveroso adottare una leadership democratica e semi-informale: questo perché, pur avendo fondato il gruppo e reclutato i musicisti, non vi fu alcun momento formale di designazione dei ruoli, ma essi vennero definiti quasi spontaneamente.

Riguardo alla componente “democratica”, se da un lato mi ritrovai ad adottare di volta in volta uno stile di leadership socio-emozionale (es.: assicurarsi che il clima interno al gruppo fosse armonioso, mostrando considerazione nei confronti dei membri) o centrato sul compito (mostrando le migliori idee e organizzando il lavoro di gruppo), cercai il più possibile di non assumere mai il ruolo del leader autocratico (distaccato, quasi dittatoriale), perché sapevo che sarebbe risultato deleterio tanto quanto quello del leader lassista, che interviene poco o niente e lascia il gruppo libero (ovvero incapace) di decidere.

In simili contesti, pur lasciando la massima libertà di espressione possibile, notai che i singoli membri di una band musicale, con le dovute eccezioni, generalmente non hanno interesse a prevalere l’uno sull’altro: non ci sono giochi di potere e, se da un lato questo agevola nel creare un clima sereno e collaborativo, dall’altro un gruppo senza leader può ritrovarsi nell’incapacità di prendere decisioni in presenza di un conflitto, anche minimo, per la paura dei membri di imporre le proprie idee e di incrinare il clima di amicizia e reciproco rispetto tra pari che si instaura.

Occorre quindi un moderatore che ordini, pianifichi, definisca le alternative e consenta una presa di decisione nitida a livello di gruppo, con la partecipazione anche dei membri più timidi, ed è quanto provvidi a offrire dopo aver individuato i bisogni del gruppo, assumendomi il ruolo del leader transazionale, cioè un tipo di leadership centrata sugli scambi e le transazioni esistenti tra leader e sottoposti.

Sicuramente, anche il fatto di aver formato il gruppo dopo essere diventato dottore magistrale, così come la mia età più alta rispetto a quella degli altri, contribuì a mettermi in luce come un valido punto di riferimento.

In seguito, lo sviluppo ottimale del gruppo permise di ridistribuire la leadership secondo competenze e ruoli: un po’ tutti furono coinvolti e responsabili nel trovare sostituti in seguito al turnover del bassista (comunque tenuto sotto controllo), nel procacciare ingaggi e serate, nella realizzazione dei video, del materiale grafico e promozionale del gruppo e nel costante sviluppo del repertorio musicale.

Tuttavia, se ognuno trovò un suo ruolo di competenza privilegiato, il batterista si distinse particolarmente per un utile approccio compensatorio orientato al risultato, compatibile grazie a un’affinità di valori e obiettivi, e per un tipo di leadership basata soprattutto sulla competenza tecnica: con la sua preparazione più completa, grazie all’esperienza e agli studi al conservatorio, e con le sue competenze da fonico, svolse un ruolo essenziale per quegli aspetti più tecnici, come il settaggio del suono e le registrazioni.

Di conseguenza, si creò quella situazione ottimale di leadership situazionale che ruota in base al compito, possibile solo con gruppi molto affiatati e con una supervisione globale efficiente ed efficace.


4 – Le prove

Le prove iniziarono a metà settembre del 2009, mentre le riunioni erano state fatte prima delle vacanze estive, in modo da avere il tempo di esaminare con cura la scaletta e prendere confidenza con i brani proposti.

Una costante delle prove era data da quei momenti di riscaldamento, ludici e sperimentali, riassumibili dai partecipanti stessi con il termine “cazzeggio”.

Soprattutto all’inizio, a volte fu necessario porvi un freno: anche se il divertimento è parte integrante della musica, un eccesso può tradursi in una perdita di tempo, quindi l’unico accorgimento possibile fu quello di richiamare all’ordine il gruppo quando necessario e di limitare lo svago, convogliando certi eccessi solo in momenti definiti, ovvero all’inizio, nella pausa o alla fine delle prove di due ore circa.

Inoltre, si arrivò (dopo alcuni tentativi) a identificare alcune metodologie nella scelta dei brani da provare: se prima si provava “alla rinfusa” e si era forse ecceduto nella quantità di brani da preparare a discapito della qualità, poi si riuscì a focalizzare le prove sui soli brani da correggere e/o sulle singole parti in cui era stato identificato un errore cronico, prima di suonare le canzoni per intero.

Il risultato fu un potenziamento sia dell’efficacia (qualità) che dell’efficienza (rapporto che include i costi della sala ad ora vs. i benefici) delle prove.


5 – Gli strumenti (non musicali)

Un breve cenno, anche se ci sarebbe molto da approfondire, sull’importanza delle e-mail (ma anche le chat di messaggistica istantanea e Facebook) per la comunicazione di gruppo tramite mailing list tematiche, che includevano anche lo scambio di materiale di studio standardizzato, ovvero spartiti e file MIDI uguali per tutti.

Tuttavia, ciò che forse fornì il maggiore vantaggio fu la sala gestita dal batterista stesso che, oltre a essere qualitativamente ottima, consentì una flessibilità molto maggiore nel caso di assenze dei singoli membri o di difficoltà temporanee.

Infatti, una delle maggiori fonti di stress per i gruppi che affittano le sale prove a pagamento è rappresentata dalla difficoltà di trovare e mantenere un giorno settimanale fisso che vada bene a tutti perché, per provare efficacemente, sono necessarie costanza e continuità, ma banali raffreddori o impegni lavorativi occasionali possono portare alcuni membri del gruppo a non essere sempre presenti.

In questi casi, le prove sono poco soddisfacenti soprattutto se mancano punti di riferimento chiave, quali cantante o batterista, e il fatto di dover provare comunque in condizioni mediocri per non perdere il giorno fisso, magari con altri gruppi in attesa di subentrare in quello stesso orario, o di pagare la mora senza suonare, sono fonti di forte insoddisfazione, soprattutto se protratte a lungo nel tempo.

Se è vero, comunque, che molti gestori possono limitatamente venire incontro alla clientela, il loro livello di flessibilità non è paragonabile a quello garantito da una sala “propria”, che diventa anche un luogo di ritrovo sicuro e un posto familiare.


6 – Imprevisti e criticità

Per quanto si cercasse di pianificare tutto a lungo termine e nel modo migliore possibile, emersero comunque degli imprevisti.

Scartata una prima cantante sin dal primo incontro informale, a causa di una probabile mancanza di serietà, la vera tribolazione arrivò con il ruolo del bassista.

(Nella foto in basso: Notte Bianca in via Paoli)

Il primo reclutato, infatti, mostrò sin dall’inizio un atteggiamento ambivalente nei confronti del progetto: da un lato era presente un discreto tentativo di adattarsi alle proposte fatte dalla maggioranza, dall’altro proponeva di frequente brani o riarrangiamenti delle cover poco condivisi dagli altri componenti.

Inoltre, anche il comportamento in sala prove, generato da una cultura e da valori diversi da quelli degli altri componenti, rendeva le comunicazioni aspre e molto conflittuali, soprattutto quando emergeva un errore nell’esecuzione dei brani.

Questo fu un caso in cui l’eccesso di diversità rappresentò uno svantaggio più che un punto di forza, tanto che ogni tentativo di convogliare questa diversità in modo costruttivo fallì senza portare alcun beneficio.

Questa conflittualità e gli onerosi impegni lavorativi, che non consentivano al bassista di preparare adeguatamente i brani, rendevano insoddisfacenti anche le prove a causa della mancanza di progressi collettivi: come risultato, il bassista definì le prove “logoranti” per la loro frequenza e scelse spontaneamente di abbandonare la band in modo pacifico, senza risentimento.

Il vuoto lasciato dal primo bassista creò uno scompenso nel gruppo perché, oltre a un mese perso, non c’era una figura pronta a sostituirlo.

Dato che rimanere fermi sarebbe risultato comunque controproducente, decisi di proporre il bassista della precedente esperienza musicale per alcuni discorsi promettenti fatti in quel periodo, anche se già soggetto al turnover con me seppur diversi mesi addietro.

Egli, infatti, si lamentava del clima organizzativo troppo rigido del suo attuale gruppo musicale, anche perché stava passando un periodo molto difficile a causa di gravissimi problemi di salute che, tuttavia, non gli impedivano di suonare e di avere una vita sociale grossomodo normale.

Dalle sue parole, confidavo nel fatto che il clima amichevole e “caldo” del nostro gruppo sarebbe stato una leva motivazionale favorevole per fargli sviluppare un attaccamento al gruppo e portare avanti il progetto; tuttavia il suo comportamento rivelò successivamente un’incoerenza con le sue parole.

Questo bassista, infatti, era tecnicamente molto preparato e con una personalità forte: potenzialmente un leader carismatico e tecnico, fortemente orientato al risultato.

Queste qualità lo misero sin da subito in condizione di esercitare un forte ascendente sulla maggioranza della band, purtroppo a lui culturalmente opposta perché orientata al compito e con valori non condivisi.

Inoltre, la sua condizione mentale del momento, derivante dalle condizioni fisiche precarie, probabilmente esacerbò una sua indole diffidente e distorse la sua percezione degli avvenimenti.

I motivi dell’insoddisfazione che aveva generato, situati in una cultura e in un set di valori personali e organizzativi diametralmente opposti a quelli degli altri musicisti, si declinarono in due elementi principali:

L’approccio basato sulla motivazione inversa, mascherata da una presunta serietà professionale, consisteva principalmente nel mettere sotto pressione i componenti della band, torchiandoli come un detective della polizia durante un interrogatorio, e nel provocarli con l’intento di farli arrabbiare così da dare il massimo per smentirlo.

Purtroppo per lui, questo approccio sarebbe stato forse utile solo in un gruppo caratterizzato da una motivazione estrinseca (ovvero legato da vincoli contrattuali) e su un brevissimo lasso di tempo, ma non sul nostro.

Inoltre, il tentativo inconscio di auto-sabotare il progetto era probabilmente legato alla sua condizione psicofisica, che si rivelò ben più grave di quanto avesse lasciato intendere all’inizio, dove i comprensibili timori per la propria salute lo rendevano incapace, suo malgrado, di proiettarsi positivamente in un futuro a lungo termine, nel suo caso pieno di incertezze anche per la propria salute.

Così, il conflitto tra la voglia di suonare e l’impossibilità di assumersi delle responsabilità a lungo termine stava coinvolgendo l’intero gruppo, disgregandolo.

Le conferme a quanto esposto venivano dal fatto che egli stesso non amava affatto essere soggetto a critiche analoghe a quelle che si permetteva di fare agli altri e dal fatto che alla fine continuò a suonare con l’altro gruppo, gestito da un manager (leader formale e istituzionale), al quale probabilmente delegava ogni responsabilità nonostante le sue lamentele.

Questo punto è molto importante perché dimostra come egli preferisse delegare in toto o in parte la leadership e limitarsi a suonare, piuttosto che assumersi le responsabilità e quindi affrontare un futuro ipotetico e lo stress derivante anche dagli impegni presi, senza le adeguate strategie di coping (risposta efficace allo stress) per farvi fronte.

Inoltre, emersero numerose incoerenze e contraddizioni da parte sua quando riportava gli avvenimenti. Infatti, affermò che:

Si giunse quindi, di comune accordo tra le parti (bassista e rimanenti membri del gruppo), alla decisione di continuare a suonare senza di lui, identificato per vari motivi come un elemento di instabilità.

Purtroppo, la conseguenza di questo incidente fu che il cantante che originariamente faceva parte del progetto decise di andarsene, poiché il bassista aveva inciso sulla sua percezione di concrete difficoltà lavorative e personali che, a nostro parere, erano comunque solo temporanee e superabili.

I risvolti positivi, invece, furono più di uno:

Comunque, dall’evento conseguì un efficace riadattamento dei ruoli, dove la cantante accettò l’intero carico dei brani preparati sino a quel momento e, più a lungo termine, vennero identificate altre soluzioni per i cori da parte del batterista, della chitarrista ritmica e (seppur in misura minore) dal sottoscritto.

Quindi, venne nuovamente discussa la scaletta ed eliminati i brani proposti dal precedente cantante che non erano ancora stati fatti, proponendo solo canzoni più adatte alla voce della cantante.

Simultaneamente, si ripresentò il problema del posto vacante di bassista, che generava ansia e stress nei componenti del gruppo a causa dell’impossibilità di avanzare nel progetto.

La soluzione fu quella di vagliare le alternative, definire le potenziali opzioni, le strategie a lungo e breve termine e compattare la formazione costituita, supportandosi a vicenda.

La soluzione pratica arrivò quando provammo un nuovo bassista: un mio ex-tastierista dei tempi dell’Heavy Metal che, nel frattempo, si era dedicato al basso con ottimi risultati e aveva conseguito un notevole sviluppo nella sua maturazione personale.

Di fatto, il nuovo bassista si integrò alla perfezione con i rimanenti membri della band.

Il gruppo musicale ebbe anche una qualche similitudine occasionale con i gruppi di terapia, orientati al supporto, nelle occasioni in cui si presentarono delle difficoltà personali per alcuni membri del gruppo, appartenenti alla sfera della quotidianità.

Ad esempio, uno dei musicisti attraversò un momento molto difficile a causa di una relazione a distanza, che si concluse in modo turbolento e inatteso.

La causa principale era da identificarsi in un’improvvisa interruzione di contatti da parte del partner: infatti, oltre al dolore per la perdita, ciò che turbava il nostro musicista era l’incertezza per il futuro e sulle cause dell’improvvisa rottura delle comunicazioni, sentendosi al tempo stesso ancora impegnato in quella relazione.

Si fece l’unica cosa possibile: analizzare i pochi elementi disponibili da ogni angolazione, formulando ipotesi plausibili riguardo alle possibili aspettative per il futuro in modo da ridurre il senso di incertezza e ripristinare il locus of control, cioè l’attribuzione della responsabilità secondo le dimensioni “successo/insuccesso” e “causa interna/esterna” alla persona, facendogli comprendere a fondo che non vi erano motivi per i quali dovesse incolparsi per l’insuccesso della relazione.

Inoltre, stabilimmo assieme delle scadenze simboliche, in modo da liberare il musicista dal senso di appartenenza a una coppia che ormai non esisteva più, man mano che venivano raggiunte e non vi erano cambiamenti (ad es.: “Se non si fa sentire nemmeno per gli auguri per le feste, allora è certo che la relazione è finita: se ci tiene, lo farà, altrimenti avrai un’ulteriore conferma.”).

Il gruppo, quindi, fornì un canale di espressione, solidarietà e distrazione per alleviare lo stress derivante da quella relazione tormentata e un luogo sicuro, di supporto e svago tra amici fidati, che ascoltano senza giudicare.

Quasi parallelamente, capitò di aiutare un altro membro del gruppo ad affrontare un secondo problema, sempre di natura personale. In questa sede mi limito a scrivere che il rapporto, simile a quello medico-paziente perché basato sulla competenza tecnica e sulla fiducia individuale, agevolò anche il rapporto di fiducia all’interno del gruppo.

Questo fatto tornò molto utile quando quella persona, in un momento di debolezza psicologica, dubitò delle sue capacità musicali, senza alcun motivo condiviso dagli altri componenti che invece ne hanno tuttora piena fiducia, così che il rapporto creatosi sia a livello individuale che di gruppo fu il miglior strumento per riportare ad alti livelli l’autostima di quella persona e migliorare conseguentemente anche le sue performance musicali.


7 – Il successo: la prima in pubblico

La prima in pubblico avvenne il 24 aprile 2010 al Discobar Babilonia (Cagliari), come già accennato, dove i New Folder fecero da apertura a una cover band ufficiale dei Litfiba, portando i seguenti brani:
Easy, I Think I’m Paranoid, She’s a Maniac, Because the Night e Simply the Best.

La tensione per l’evento variava sensibilmente in base all’esperienza accumulata individualmente con le serate in pubblico, passando da “quasi nulla” a “medio-alta” anche in funzione del ruolo.

La cantante ed io, che dovevamo svolgere forse le parti più complicate ed eravamo in primo piano rispetto agli altri, eravamo probabilmente i più emozionati.

Ad ogni modo, il lungo preavviso per la serata, il locale accogliente e non eccessivamente grande, la presenza di molti amici e, soprattutto, lo spirito di gruppo ormai consolidato contribuirono a eliminare ogni paura una volta saliti sul palco, lasciando solo quello stato positivo di attivazione necessario per una performance ottimale, accompagnato da una forte sensazione di controllo generata dalle numerose prove in sala.

Gli unici “errori” degni di nota riguardarono sviste marginali nel cambio di suoni, comunque grandemente recuperate.


8 – Le tappe conseguite

Una volta, alla radio, avevo sentito la seguente frase:

“Il successo si chiama così proprio perché è già successo, è una cosa che è accaduta. Poi bisogna mantenerlo e anzi fare ancora meglio”.

Il 13 maggio 2010 i New Folder registrarono la loro prima demo e, con un repertorio di una ventina di brani preparati, si presero una discreta fetta delle serate nel panorama regionale dello stesso anno.

Inoltre, il promettente riarrangiamento di Ti sento di Antonella Ruggiero coi Matia Bazar fu il passo necessario per poter pensare alla composizione di brani propri.

In seguito, i New Folder furono protagonisti delle Notti Bianche, inclusa l’inaugurazione delle prime edizioni in nuove location, serate in residence turistici privati e in altre location storiche in concomitanza di eventi internazionali.

“Con i soli New Folder ho suonato quanto facevo in precedenza con quattro o cinque gruppi assieme”, commentò il batterista.

Tuttavia, un limite alle esibizioni (includibile come “minaccia/threat” in un’eventuale analisi S.W.O.T. del progetto – uno schema a 4 dimensioni dove si includono tutti i punti di forza, debolezza, opportunità e minacce) era dato dalle dimensioni del gruppo stesso incrociate col contesto economico locale.

Infatti, i gestori dei locali, oltre a pagare i gruppi musicali non per la qualità del servizio offerto ma per la quantità di clienti che si portano dietro, raramente avevano la possibilità di investire più di € 150 a serata in animazione e intrattenimento.

Tali cifre non sono sufficienti a coprire le spese per un gruppo numeroso: la semplice usura degli strumenti, il relativo trasporto e il rischio di danno alla strumentazione (soprattutto quella elettronica, come il mixer) non rendono produttiva un’esibizione per meno di € 50 a persona a serata.

Per questi motivi, il successo dei New Folder, per quanto indiscusso, fu limitato dalle caratteristiche del contesto economico e dalle caratteristiche del gruppo stesso, ragion per cui è inevitabile, per i gruppi di simili dimensioni, dover scegliere se:


9 – Seguito

Il gruppo si sciolse l’anno successivo per le incompatibilità con il lavoro di ciascuno (chi psicologo, chi medico, chi ingegnere informatico poi assunto in Svizzera).

Osservando le dinamiche relazionali dall’esterno, si vede nitida la sequenza del gruppo come “da manuale”, passando in ordine per le fasi di aggregazione, gestione del conflitto, struttura, rendimento e scioglimento dopo aver raggiunto l’obiettivo (l’estate piena di esibizioni) che ci si era prefissati.

Fu grazie alla forte motivazione al risultato che si riuscì a gestire le differenze di personalità tra i vari membri, anche molto evidenti, e fu possibile raggiungere gli obiettivi unendo una leadership forte (ispirazione e sapere cosa fare) a un approccio di lavoro per obiettivi (management by objectives).

L’intero lavoro ispirò poi altre band, che riproposero scalette simili basate sui brani “evergreen”, senza focalizzarsi su un unico artista, spesso dagli anni ’70 e ’80 ma riproposti in chiave più rock e con sonorità più moderne.

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