Barbie, il film del 2023 con Margot Robbie, è un film intelligente, provocatorio ed audace, di profonda critica sociale che va oltre il semplice tema della bambola e dei dolci ricordi d’infanzia.

Se cerchi una recensione sul film e basta, smetti di leggere questa recensione. Ma se vuoi un’analisi più attenta, che possa darti una chiave di lettura più profonda sulla società, sul lavoro e sull’amore, sei nel posto giusto!

Sì, lo ammetto: l’ho visto. E mi sono pure divertito. Anche se sono uomo (ironizzo) perché attratto dallo slogan “Lei (Barbie) può essere tutto ciò che vuole. Lui è solo Ken.” Da psicologo non potevo farmelo scappare.

Ma andiamo con ordine, cercando di non rivelare troppo della trama.

Il film di Barbie inizia con una citazione fantastica di “2001 Odissea nello Spazio” ed è una critica feroce agli stereotipi di genere, sia delle ere precedenti e sia del presente.

Sono infatti stupefatto che la Mattel abbia approvato la trama del film ed è possibile, visto che negli anni è stata pesantemente criticata per diverse scelte, che abbia colto l’occasione per un “mea culpa” costruttivo e per beneficiare di un ritorno d’immagine positivo a tempi ormai maturi.

Parliamoci chiaro: Barbie ha un fisico che non è da comuni mortali, alla pari di altri prodotti di grande successo sempre della Mattel, come He-Man e i dominatori dell’universo. Altissima, magra e con delle curve mozzafiato senza una singola imperfezione: un fisico sull’orlo dell’impossibile se non per chi vive di bellezza e che quindi ha il tempo di seguire diete rigide e di fare ore di sport, massaggi e trattamenti di bellezza.

Poiché è facile per un bambino identificarsi nei propri beniamini, una simile fisicità innaturale ha portato negli anni diversi psicologi, pedagogisti ed altri professionisti dello sviluppo infantile a muove molte critiche verso la bambola, poiché accomunati dalla preoccupazione (fondata) che un simile modello di riferimento per le bambine potesse aumentare la pressione sociale sulle giovani donne ad essere innanzitutto belle, magrissime, senza difetti, creando un termine di confronto impari ed ingiusto per molte di loro, se non per una minoranza baciata dalla fortuna e da Madre Natura.

Ma non è solo questo il punto. Infatti, la sua creatrice Ruth Handler ebbe una geniale intuizione riguardo i limiti e le potenzialità del mercato delle bambole di allora e così concepì la sua Barbie come strumento per consentire a sua figlia ed a tutte le bambine del mondo di essere tutto ciò che volessero. Diede così la possibilità alle bambine di dare libero sfogo alla fantasia ed all’espressione di sé; uscendo dal canonico ruolo di “piccola mamma” tipicamente adottato dalle bambine che giocavano con i bambolotti come Cicciobello, sano ma anche limitante.

E qui scatta un’altra dualità: Barbie ha sempre proposto un mondo di vita forse sin troppo semplificato e “addolcito” rispetto alla vita vera (del resto è un giocattolo), con quella leggerezza tipica delle bionde un po’ svampite a cui tutto è concesso e perdonato soltanto perché sono belle da morire. Tant’è che ancora oggi si dice “Lei è una barbie” quando ci si riferisce ad una bionda bellissima ma non troppo intelligente. Tutto questo a differenza di altre bambole e/o personaggi dei cartoni animati e dei film, che proponevano modelli di maggior responsabilità e di “mens sana in corpore sano” (mente sana in un corpo sano). Tant’è che il personaggio interpretato dalla Robbie è volutamente chiamata nel film “Barbie Stereotipo” e vive assieme a tante altre Barbie che sono sempre Barbie – unite in quanto tali ma diverse a modo loro.

Il film, in modo delizioso ed intelligente, riprende queste tematiche per parlare di emancipazione femminile rispetto a pregiudizi e stereotipi di genere: nel farlo, porta avanti una critica diretta e trasparente alle tematiche appena citate dove la bionda Barbara compie il suo percorso evolutivo – da bambola a persona (in tutti i sensi) un po’ come una moderna Pinocchio al femminile, cercando di dare una ispirazione positiva alle donne di oggi e di risolvere le contraddizioni che l’hanno caratterizzata come giocattolo attraverso una trama auto-ironica e piena di spunti costruttivi.

Ma questo non è tutto, perché c’è poi il discorso che riguarda Ken. Ed è qui che la cosa inizia a farsi ancor più interessante.

Ken, se vogliamo, è il vero protagonista del film ed è molto più umano di quanto si pensi.

Infatti, nonostante un fisico irrealistico alla pari di Barbie ed alle sue varianti in termini di “tutto ciò che vuoi essere”, Ken è eternamente in secondo piano, in posizioni sempre di minor rilievo ed esiste soltanto in funzione di Barbie, senza una propria autonomia. Praticamente è la critica della discriminazione di genere, ribaltata in un mondo in cui sono le donne ad avere i lavori migliori e dove i maschi sono messi sempre in secondo piano come semplice appendice della donna, o sua decorazione. Il film è una fantastica rappresentazione del conflitto tra uomini e donne per il lavoro, dove una categoria è ritenuta incapace di ricoprire certi incarichi ed è esclusa da certe mansioni in base ad un semplice pregiudizio (spesso mai ammesso apertamente), oppure costretta a ruoli di minoranza a condizioni contrattuali inferiori, ma a parti invertite.

Inoltre, Ken rappresenta il maschio eterosessuale moderno, sotto pressione dal marketing e dalle mode – tant’è che è magrissimo e palestrato, quasi glabro (non ha un pelo sul corpo, faccia a parte) con sopracciglio depilato, abbigliamento alla moda (talvolta orrendo) etc – e non ha la minima idea su cosa fare per ottenere l’amore di Barbie. Anzi, lui fa ciò che la società gli suggerisce per farsi amare ma vive comunque la fortissima frustrazione dell’insuccesso e per questo si sente perso e smarrito, là dove Barbie – in modo realistico sebbene senza cattiveria – si comporta come la classica f*ga di legno o “donna profumiera” (per intenderci, di quelle che la fanno “annusare” senza mai “darla”): lei infatti non vuole rinunciare alle attenzioni che lui le da ma al tempo stesso non lo vuole come fidanzato e, con la scusa di non ferirlo, lo tiene sospeso in una situazione di comodo per lei e di sofferenza emotiva per lui.

Questa situazione sarà la vera causa dei comportamenti rivoluzionari di Ken, che metterà sotto sopra la società statica in cui tutti vivono. Senza entrare in dettagli di trama, tale rivoluzione è la metafora dei comportamenti tipici di una minoranza oppressa che, nel tentativo di ripristinare una condizione di parità e di coesistenza con gli altri, finisce per creare una nuova discriminazione alla rovescia con nuovi privilegi, azioni risarcitorie e compensazioni eccessive che vanno ben oltre il dovuto.

Ed è qui che il film inizia pesantemente a scricchiolare in quanto al messaggio trasmesso allo spettatore, perché… Cosa fanno le Barbie? Vedendo che i Ken le hanno spodestate dai loro privilegi, non pensano a quanto i Ken possano aver sofferto ed a quale sia la propria responsabilità di donne in tutto questo ma pensano soltanto a ripristinare lo stato precedente di cose.

Da notare che i Ken, dai sempliciotti che inizialmente sono, iniziano a sviluppare anche lati positivi che le Barbie vogliono sradicare: cultura, competenza tecnica, responsabilità individuale e collettiva. Unite però a prepotenza (la compensazione di cui prima) ed al mansplaining: (vagamente traducibile in italiano come “spiegazione al maschile”): atteggiamento paternalistico con il quale certi uomini pretendono di rappresentare e spiegare alle donne il loro stesso punto di vista e ciò che è lecito o non è lecito che le donne facciano, con l’implicita assunzione che le donne siano incapaci o non portate a comprendere certe tematiche.

La cosa interessante è che inizialmente le Barbie cadono facilmente e senza resistenza nell’inversione dei ruoli: un po’ la metafora del dualismo che alberga in molte donne (e in molte persone in generale) di avere la propria autonomia e al contempo di avere qualcuno che si prenda cura di loro e che le alleggerisca dal carico di responsabilità che il potere, inevitabilmente, comporta. Fatto che viene chiaramente ammesso da Ken a fine film e purtroppo non valorizzato.

Un po’ per ragion di trama, un po’ per incuria da parte dei creatori del film, pur di riprendere il controllo della situazione le Barbie compiono uno dei gesti più infami che una persona possa compiere a danni di un’altra: illuderla e manipolarla sfruttando un sentimento d’amore non ricambiato. Nel film appare un ingegnoso stratagemma ma, visto a mente fredda, è un triste esempio di come il fine giustifichi i mezzi che offre agli spettatori un pessimo modello comportamentale, forse ancor più diseducativo di quanto già fatto in passato dal giocattolo.

Proprio quando Ken trova la forza di rivelare i suoi sentimenti per Barbie (per quanto in modo immaturo e narcisistico), Barbie li sfrutta coalizzandosi con altre donne per dividere gli avversari e riprendere il potere: straordinaria metafora della società moderna dove gli uomini sono spesso visti come i “cattivi”, i bruti, i violenti, quasi impossibilitati a corteggiare, e dove le donne pretendono parità e rispetto solo quando fa comodo. Mentre dove non fa comodo, allora vogliono mantenere i propri privilegi. Non c’è dialogo, non c’è alcun tentativo di capire le ragioni dell’altro e di trovare un compromesso da adulti: semplicemente è guerra per riavere dei privilegi che non devono essere condivisi come dei diritti di tutti.

Il tutto impreziosito dalla magistrale interpretazione di Ryan Gosling, capace di mostrare il profondo dolore di Ken: affranto in quanto letteralmente nato per essere il partner di Barbie senza essere minimamente ricambiato ed eternamente messo in “zona amico” da una donna che pensa ad una vita leggera senza alcun obiettivo di famiglia, figli e di relazione seria, quale è quella moderna.

Perché non c’è “un altro”: semplicemente Barbie vorrebbe ogni giornata come un giorno di festa che si ripete sempre uguale e non sembra interessata affatto all’amore. Anzi, Barbie-Stereotipo non sembra avere nemmeno qualche hobby o interesse lavorativo: pare che le importi solo di restare bella e divertirsi. Anche questa è una rappresentazione dell’evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista) della nostra società, dove c’è un drastico aumento dei single, le relazioni sono sempre più superficiali e sono cambiati i valori sociali, con i pro e i contro che ciascuno può osservare.

Curiosamente, davanti a tale scena, in sala è calato un certo silenzio “gelido”, mentre una minoranza di persone ha applaudito alla vittoria di Barbie contro il povero Ken: spero che sia indice di come la maggioranza abbia colto la povertà morale di quella scena, mentre la minoranza che ha applaudito temo che rappresenti una fetta immatura della società e/o quella ormai plagiata dai disvalori moderni.

Sono presenti poi tanti altri spunti, come il rifiutare chi è diverso e diversi pregiudizi su tanti temi – che sembrano mostrare la vera faccia della società soprattutto nei tempi di una inclusività spesso forzata e portata all’estremo con un controproducente effetto “boomerang”.

Oltre alla critica sociale, sono poi presenti dei momenti di crescita e di redenzione da parte di tutti ma a livelli disomogenei: infatti, sembra maggiore il cambiamento individuale che quello della società, perché si torna allo stato precedente con modifiche solo di facciata o minime. Anche questa è validissima metafora della società e della politica, dove tutto cambia per non cambiare niente.

Nonostante il lieto fine, a me è rimasto un senso agrodolce di rammarico per un film che avrebbe potuto essere un vero capolavoro, capace di unire contenuti di grandissimo valore ad una forma accessibile a tutti grazie alla dolcezza dei ricordi d’infanzia se solo avessero osato un po’ di più.

Un’occasione sprecata oppure un grande successo che poteva essere ancora migliore? Lascio il giudizio a te che leggi.

PS: Altra nota per me negativa riguarda i titoli di coda, graficamente splendidi come tributo ai prodotti Mattel ma accompagnati da una orribile versione in stile rap (o qualunque cosa sia) della canzone “Barbie Girl” degli Aqua. Il piccolo capolavoro musicale del 1997 si sarebbe perfettamente sposato con i toni arguti del film ed invece è stato rimpiazzato con una cover pessima, forse nella presunzione di fornire un tema musicale più vicino ai gusti delle teenager contemporanee ma di fatto proponendo l’ennesimo contenuto-spazzatura.